I PITOCHI
Lo spettacolo, liberamente tratto da racconti e ricordi, alterna momenti poetici a musiche e canzoni dal “vivo”. Storie e racconti del passato s’intrecciano al vissuto quotidiano offrendo uno spaccato della vita e della campagna veneta degli ultimi settanta/ottant’anni. La memoria si fa spettacolo, la tradizione orale si traduce in segno della scena che compone ricordi, echi di un mondo rurale che rappresenta le nostre radici. Sono le voci delle campagne venete di un tempo a raccontarsi: aneddoti, poesie, piccole storie, canzoni. La musica eseguita dal vivo accompagna l’interpretazione, mentre gli attori testimoniano speranze e fatiche, aspirazioni e miserie di un tempo che sembra non appartenerci più, ma di cui è intessuta la trama del nostro presente. Un tenero quadro di genere quale fonte di rinnovate emozioni tra nostalgia e tensione verso il futuro, linfa per guardare noi stessi e gli altri senza dimenticare come eravamo.
Estratto stampa
“Sprazzi di miseria e ricordi senza la patina della nostalgia. Uno spettacolo raffinato anche nell’uso del dialetto. E’ una carrellata di ricordi pescati dalla tradizione popolare, remota o appena passata. E’ un dire per ricordare, rimanendo ancorati alla necessità di non dimenticare, di tramandare, di ancorare il presente ad uno zoccolo ben più solido delle abitudini contemporanee. Il tutto costruito in un viaggio dislocato in stazioni che spezzano il classico reading, grazie a un ritmo più accattivante e leggero. La regia di Jana Balkan ha costruito uno spartito di parole e musica dislocato su più punti in relazione ritmica tra loro, mantiene un’eleganza anche nel fiume dialettale, nell’aver saputo riformulare con modernità anche le canzoni che dal vivo accompagnano i pezzi.” (Simone Azzoni “L’Arena”)
“Un viaggio teatrale nel come eravamo prima di consumismi e di una vita frenetica. Un ripensamento di quei valori dei nostri vecchi che il ritmo frenetico della nostra vita ci fa dimenticare, un modo per tramandare alle giovani generazioni un’epopea fatta di cose semplici e vere” (A. S.“Dnews” )
“Il Veneto di ieri con parole e canti… Quello strambo personaggio chiamato el Pippo, la miseria, la renga tacà al filo in cima alla tavola da pociar in tanti con una fettina trasparente di polenta a testa, e poi l’uccisione del maiale e la festa…Il ricordo è il baule della nonna dal quale le artiste traggono i racconti accompagnati da canzoni dal vivo a testimonianza di un passato che ha lasciato il segno nelle generazioni che hanno superato gli anta ma che i giovani non conoscono e l’intreccio di aneddoti sia in lingua che in vernacolo ci riportano al vissuto di un Veneto di campagna…” (Michela Pezzani “L’Arena”)
“Potrei soffermarmi sulla “mostruosa” bravura tecnica delle due attrici, ma sarebbe davvero molto riduttivo, come sarebbe riduttivo parlare di quel feeling che attrici con una vera familiarità riescono a creare sul palco. Quando la recitazione ci tocca nei sentimenti, quando le parole di un attore richiamano ricordi impolverati nella nostra memoria pulendoli e facendoli rivivere è davvero impossibile sentirsi distaccati nel valutare quanto si è vissuto. Potrei dilungarmi sulla bravura di un musico che suona come stesse recitando e recita come stesse suonando, dando una profondità ai suoi intermezzi che invece di staccare fra una scena e l’altra ti immergono ancora di più nell’atmosfera: canzoni che sembrano ‘buttate’ sul piatto come un piatto di baccalà con la polenta e che ne hanno lo stesso sapore e ne danno lo stesso piacere. Suonare con maestria vera, uno strumento che sembra appena staccato dal muro di un’osteria, dando l’impressione che sia stia suonando per il piacere di farlo: se testo e recitazione ci hanno portato nelle cucine e nelle cantine, la musica ci trasporta nella vita della comunità, nelle piazze, nelle feste e nelle serate d’osteria. Avrebbe senso che cercassi di spiegare il sentimento che più volte ha rasentato la commozione?… Le risate del mio io bambino nei racconti dei nonni? No, non avrebbe molto senso. Posso dire che negli occhi degli altri spettatori ho visto la stessa felicità e la stessa malinconia che ha rapito me. La malinconia per quei momenti in cui i nostri vecchi si raccontavano, momenti carichi di affetto e privi di quella paura che portava chi li aveva vissuti, dove le risate per le situazioni particolari raccontate, si mischiavano al piacere di ascoltarle in una lingua che senti appartenerti ancestralmente…”(A. Giuliari “ViCult”)