si ringrazia per le foto Nicoletta Ferrari di Dismappa e Ida Cassin di studio Brenzoni
èdeMa/Medea
di Stefano Betti e Flavio De Bernardinis
regia di Isabella Caserta e Francesco Laruffa
con Francesco Laruffa
si ringrazia per la consulenza il Professor Vittorino Andreoli
Teatro Scientifico – Teatro Laboratorio
Il testo getta un ponte tra passato e presente riconsegnando il teatro alla sua funzione di voce della cronaca e della realtà offrendo spunti di riflessione sul presente. Frammenti di Euripide e Seneca si intersecano alla cronaca odierna in una disanima riflessa del mito antico e della dualità che attanaglia il personaggio di ieri e di oggi.
Medea: contrapposizione di due culture, di due civiltà.
Medea: il “diverso”, lo straniero, da cui il sospetto e l’emarginazione.
Medea: Mater terribilis.
Medea: feroce e vendicativa assassina in continua lotta tra razionalità e passione.
Ėdema, anagramma di Medea, è il segno del ricordo di un dolore violento che affiora sulla pelle. E’ anche acronimo di “Et Dea et Mater Altissima”, una definizione, in alcuni ambienti esoterici, che riconosce in Medea la manifestazione della Divinità primordiale (Dea) e, contemporaneamente, quella di “Mater altissima”, materia primordiale, generatrice di vita.
Il protagonista dello spettacolo è un attore che, in seguito ad un trauma (si sente responsabile della morte dei suoi due figli in un incidente causato dal suo stato di ebbrezza), si identifica con la Mater Terribilis del mito antico, che stava interpretando in teatro. Si sente ora condannato a rivivere per l’eternità (si trova in una casa di cura per malattie mentali) il suo dramma.
La regia porta alla luce la sua multipersonalità in un continuo entrare e uscire da sé, dal mito alla realtà del quotidiano, dalla finzione scenica alla psicopatologia del personaggio.
“Il personaggio di questo spettacolo è affetto dal disturbo della personalità multipla, le cui inversioni sono assolutamente repentine. Vive di sé varie personalità: vive se stesso come padre, vive se stesso come padre cattivo, vive se stesso come Medea (madre cattiva, colei che ha ucciso i figli), vive se stesso come voce esterna a sé e vive se stesso come attore”. Vittorino Andreoli
Il mito di Medea, la maga, la barbara, alle origini dell’archetipo della Terra, da sempre affascina scrittori e drammaturghi di tutte le epoche (da Euripide a Pasolini, da Seneca a Christa Wolf …). Medea, dopo aver aiutato Giasone e gli Argonauti a conquistare il vello d’oro (per lui ha ucciso il fratello e abbandonato il padre), si è trasferita a vivere a Corinto, insieme a lui e ai due figli. Dopo alcuni anni Giasone decide di ripudiare Medea per sposare la figlia di Creonte, re di Corinto. Questo infatti gli darebbe diritto di successione al trono. Davanti all’indifferenza di Giasone di fronte alla sua disperazione, Medea medita la vendetta: manda in dono alla futura sposa di Giasone un mantello intriso di veleno. La fanciulla, indossatolo, muore tra atroci tormenti e la stessa sorte tocca a Creonte, accorso per aiutarla. Giasone si precipita per salvare almeno la sua prole, ma appare Medea sul carro alato del dio Sole, che gli mostra i cadaveri dei figli che ella, pur straziata nel cuore, ha ucciso, privandolo di una discendenza.