ESTRATTI

“Ho visto un’anziana al funerale del figlio che a un certo punto ha smesso di piangere, perché non si ricordava più che ci facesse là. Ha detto: “Portatemi via, chi è quello là dentro?”.
Nasce così il bisogno di Isabella Caserta e Jana Balkan di indagare con Yesterday – l’ultimo gioco il tema dell’Alzheimer e delle sue conseguenze socio-familiari. Figlia e madre fuori dal palco, badante e badata in scena per parlare dell’irreversibilità di una malattia che è “lento smarrirsi nel silenzio e nell’assenza”.
Sul palco ci sono al centro una sedia a rotelle, a sinistra un tavolo con pochi oggetti, a destra una seggiola su cui poggia una bambola, sullo sfondo una videoproiezione che scandisce il lento ritmo dell’oblio di Jana, madre malata, e bambina alla costante ricerca “della mamma e della sua casa”. A prendersene cura è una badante moldava, arrivata in Italia in cerca di fortuna. Lei, che i suoi bambini li ha dovuti lasciare, non può che provare affetto sincero per questa donna che anche nella sofferenza riesce a creare momenti di amore e felicità.
Chi sembra essersi arreso al destino è, invece, il figlio della signora, Francesco Laruffa, il quale è spesso per lavoro, salvo poi apparire con qualche regalo, speranzoso di cambiare un percorso già tracciato.
Il trio, vivace e struggente, non è frutto di fantasia. «Abbiamo cominciato a indagare questa perdita attraverso un lavoro di ricerca, interviste, testimonianze e incontri fatti con gli anziani, i familiari e le badanti che li assistono», ci rivela il Teatro Laboratorio; ed è così che hanno deciso di mettere in scena una storia vera, una delle molte vissute anche in questo momento.
Lo spettacolo, andato in scena durante la decima edizione del festival “Non c’è Differenza”, dedicato all’incontro dell’altro da sé, colpisce subito per la sensibilità registica che ha saputo creare lo spazio drammaturgico ideale che lascia Jana libera di perdersi e ritrovarsi in un gioco di tagli e rimandi continui. Sono infatti le due donne, complici nel dolore, che creano e disfano la loro realtà a seconda dell’andamento della malattia.
L’una dimenticandosene, l’altra omettendola, fanno della memoria una matassa di angoscia e speranza. Un universo, in formato monolocale, dove la scelta del cibo non è solo mero soddisfacimento di un bisogno biologico, ma una caccia al ricordo. Il premio, non sempre gioioso, è la sincerità di chi racconta la sua vita con dignità.
Se, infatti, l’amore sembra essere l’unico antidoto capace di mitigare l’ingiustizia della sorte, il riconoscimento dell’Altro è la precondizione necessaria per far sì che il dramma diventi di tutti.
Confinate in un appartamento isolato, le due donne sono vittime di un sistema che allontana madri e figli, cittadini e istituzioni, passato e presente. Lo sfaldarsi della memoria di una magistrale Jana Balkan è sgretolarsi anche di una famiglia che affida a un’estranea il benessere dei suoi cari.
“Come ti chiami?” continua a chiedere la signora alla sua amica badante “Liuda signora, LI-U-DA”, fa lei, tra il serio e il faceto. Un disperato bisogno di ancoraggio, una manifestazione di cortesia che la malattia non può distruggere è il segno di una perdita inevitabile. Yesterday, celebre brano dei Beatles, chiude e titola la nostalgia del ricordo bruciato da un male implacabile e imparziale.
Certo non mancano momenti di leggerezza, come quando la passeggiata all’aria aperta si trasforma in un giro sulle montagne russe: d’altro canto la carrozzella si presta a questi e altri utilizzi che solo la fantasia può eseguire. Eppure, dopo ogni tensione speranzosa, subito torna la consapevolezza dell’imminente oblio.
Cosa resterà di noi e dei nostri desideri non ci è dato saperlo, ma se c’è un posto in cui indagarlo questo è il teatro, dove tutto nasce, cresce e muore nello spazio di una notte.
(Leonardo Delfanti, P.A.C., paneacquaculture.net, 12/06/2024)

“Yesterday” emoziona lo spettatore. Avanza nel vuoto spinta da una mano invisibile. E’ una sedia a rotelle il primo personaggio ad entrare in scena nello struggente e veritiero spettacolo Yesterday. L’ultimo gioco nuova produzione del Teatro Laboratorio…Il terribile flusso di coscienza della donna affetta da demenza è stato reso come una corsa di parole a perdifiato o un violento corso d’acqua, specchio di una patologia che straripa e scompagina la storia della persona colpita, per la quale, al di là di una profilassi di mantenimento, non esiste cura efficace se non la terapia dell’amore e del contatto epidermico. E’ toccante e realistico il testo scritto con tanto trasporto emotivo e profondità narrativa dalla Balkan e altrettanto ben recitato al fianco di Laruffa, figlio insicuro che dapprima non riesce ad accettare l’implosione della madre, e di Isabella Caserta nel ruolo della badante moldava, angelica figura teatralmente dipinta in tutta la sua compassionevole tenerezza e praticità di donna capace di accogliere e di diluire il dolore altrui. Il silenzio in sala si tagliava con il coltello nel partecipare a questa storia che non cede alla retorica ma parla con la voce di chi l’Alzheimer la conosce perché ha fatto prima una ricerca sul campo, l’ha incontrata in prima linea e la battaglia la combatte fianco a fianco a chi non ha armi ma si misura a mani nude contro un nemico acerrimo…A dare speranza è quel campanello di bicicletta che la badante Liuda fissa alla carrozzina per trasformarla idealmente in bicicletta con la quale far volare la sua nonnina che, nonostante tutto, ha ancora grandi ali”.
(Michela Pezzani, L’Arena, 27/02/2014)

“Lo spettacolo oscilla tra ricordi e presente, tra visioni della mente e realtà restituendo allo spettatore la profonda solitudine dei personaggi. La solitudine del malato, immerso in una nebbia esistenziale rotta solo dai sempre più rari momenti di lucidità. La solitudine dei familiari, in lotta con la rabbia che deriva dall’impotenza e che vedono palesarsi il temuto uomo nero dell’infanzia nelle forme di questa malattia tanto subdola. La solitudine di chi si prende cura dell’ammalato, che vive una vita sospesa, dove i sentimenti da moto dell’anima sanno trasformarsi in azioni concrete. Tre solitudini parallele. Tre grandi interpretazioni. Commovente e intensa Jana Balkan nella parte di un’anziana malata che si smarrisce in un mondo in cui l’oggi non esiste e naufraga in un passato che ha rotto gli argini riportando alla luce le ferite mai rimarginate… Convincente Francesco Laruffa nella parte del figlio, arrabbiato e indifeso. Ed infine una brillante e potente Isabella Caserta nei panni della badante moldava, che grazie ad una sconfinata umanità e ad un provvidenziale senso pratico, non solo riesce ad entrare in contatto con il mondo interiore della protagonista, ma diventa anche il punto di congiungimento tra presente e passato. Uno spettacolo, intenso, commovente e drammatico che fotografa la realtà così com’è, senza interpretazioni né pretese di giudizio”.
(Cinzia Inguanta, “Verona In” 8/03/ 2014)

Applausi commossi alla prima di Yesterday. L’ultimo gioco… un naufragare inesorabile verso il niente”.
(Nicoletta Ferrari “Dismappa”, 26 /02/2014)

“Tre i protagonisti: un’anziana, il figlio, la badante. Persone reali di cui i tre interpreti traducono
e trasferiscono sulla scena comportamenti, stati d’animo che coinvolgono totalmente, anche emotivamente, lo spettatore”.
(R. Momento sera” 27/02/2014)

“Un’intensa e bravissima Jana Balkan, la protagonista dell’ultima produzione del Teatro Laboratorio-Teatro Scientifico all’Arsenale di Verona “Yesterday. L’ultimo gioco”…Uno spettacolo senza filtri, che racconta la malattia dell’Alzheimer, prendendo a prestito la storia di tre persone reali e avvalendosi dei loro racconti e delle loro esperienze. In scena anche il figlio della malata (Francesco Laruffa) e Isabella Caserta (la badante moldava), ad assecondare, in modo più che credibile, le fantasie, gli umori, gli stati d’animo e il mondo interiore della protagonista, continuamente sospeso tra fantasia e realtà, passato e presente, lucidità e allucinazioni…”
(E.D.P “Traiettorie” 28/02/2014)

“Commuove e dà speranza il testo di Jana Balkan fornendo molte risposte sulla malattia degenerativa del sistema nervoso centrale che scompagina le funzioni cognitive portando alla demenza il paziente… Il cuore della rappresentazione? Evidenziare e mettere in pratica il rimedio più efficace per l’Alzheimer, patologia per la quale non esiste ancora cura. Quale dunque tale medicina? La terapia dell’amore, ovvero dare al malato presenza, affetto, calore, contatto fisico, comprensione, dolcezza, calma, abbracci e carezze… Il pubblico trema quando all’inizio del dramma si accende la luce e avanza nel vuoto una carrozzina, spinta da una mano invisibile…”
(M.P. “Diversamente in scena. Yesterday: medicina d’amore per l’Alzheimer” in “Vita vera” anno XIX, n. 12, Dicembre 2014)

 

M Pezzani 1

L'Arena 27 novembre 2014

Momento sera 26 febbraio 2014

 

Vita vera

M Pezzani 2

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